“I MIEI GENITORI SONO IL SIGNOR DUBBIO E LA SIGNORA COSCIENZA”
Nel 1966, uscì nei cinema uno dei film più visionari, favolosi e politici di Pasolini, “Uccellacci ed uccellini”, che si avvalse della meravigliosa interpretazione di Totò, finalmente consacrato come magnifico attore anche sul fronte drammatico. Uccellacci ed uccellini è una favola che ha del delizioso e del sorprendente, nella quale un padre e suo figlio, interpretato dalla futura stella del cinema italiano Ninetto Davoli, si incamminano lungo la strada della vita, sperimentando nel frattempo strani incontri, il tutto costellato da un’ atmosfera insolita e spensierata. Il temperamento autenticamente tragico di Pasolini permette allo stesso regista di evocare la terra nel suo divenire, inerme preda di un’inarrestabile degrado, che l’avvento inesorabile della società dei consumi accelera e favorisce. Nel loro cadenzato avanzare, i due protagonisti si imbattono nell’angoscia di chi vive nella fame e nell’ ingiustizia, e discettano sul mistero della vita e della morte.
I gioiosi,provocatori, autoironici titoli di testa e di coda del film, risuonanti nell’ indimenticabile voce di Domenico Modugno, mostrano un cielo percorso da un nembo oscuro e fuligginoso, che svela e copre, aleggiando, un barlume di luna crepuscolare. Quella stessa luna, apostrofata “vergine intatta e giovinetta”, su cui Leopardi aveva proiettato la speranza che, così lontana dal mondo e dalle sofferenze umane, ne conoscesse però l’origine e lo scopo. L’ambito spaziale è quello delle frange periferiche romane, laddove la città si innesta nelle campagne; in queste, un viadotto in costruzione fa da emblematico sfondo, accentuando il rapporto dialettico tra il vicino e l’orizzonte, il limite e l’infinito degli spazi sterminati su cui incombe il progresso umano inarrestabile, determinando un cambio irreversibile e la distruzione definitiva di un mondo arcaico,quasi sacro e magico. Insomma, una sempre più forte tensione fra città e campagna, nuovo e antico, sottende all’ infinito vagare dei due personaggi, i quali tutt’a un tratto si imbattono in uno strano compagno, un corvo parlante, che li interroga sulla ragione e sulla meta del loro viaggio. Sin dalle prime battute, “uccellacci ed uccellini”, si presenta come un film tutto giocato sulla metafora e sui simbolismi, una sorta di apologo umoristico in cui la realtà è incessantemente mutata nella propria dimensione figurale,allegorica,favolistica. Nel paesaggio funebre di una borgatella bianca e bigia, dove il sole pare più pallido e triste,Totò e Ninetto appaiono fra i curiosi fermi attorno alla casa dove due coniugi sono morti asfissiati. Il viaggio interminabile dunque, comincia con questo senso tragico che “la morte è tanto”, e Totò non esita a sentenziare “per un ricco morire è come pagare il conto alla vita. Paga, sì, ma la vita gli ha dato qualche cosa. Invece il poveraccio paga e dalla vita non ha avuto niente. Che fa il poveraccio? Passa da una morte all’altra morte”.
I due vagabondi vengono affiancati dal corvo parlante,che rappresenta allegoricamente l’intellettuale di sinistra degli anni 50, l’intellettuale laico e borghese,che incalza Totò e Ninetto con mille domande, parlando e parlando, nel tentativo di convincerli con la saggezza delle sue parole. Il corvo narra loro un apologo duecentesco, durante il quale l’azione si trasferisce nel medioevo. I protagonisti di questo intermezzo sono due frati giullareschi, fra Cicillo (lo stesso Totò) e il novizio fra Ninetto (Ninetto Davoli). Essi, sotto richiesta di San Francesco, insegnano ai falchi (uccellacci), mediante la predicazione del Vangelo,a vivere in pace tra di loro, successivamente svolgeranno eguale mansione tra i passerotti(uccellini). L’evangelizzazione di queste creature, apparentemente riuscita, mostra la sua fatuità quando, dinanzi agli occhi dei due frati, un falco uccide un passerotto, mostrando la predominanza del più forte. Il breve intermezzo, si conclude con le parole di San Francesco a frate Cicillo,tornato da lui sconsolati: “non hai capito fra Cicillo che questo mondo bisogna cambiarlo, non è forse la disuguaglianza fra classe e classe, la più grave minaccia della pace? Andate e ricominciate tutto”. Se già il titolo del film sembra indicare,in metafora, il confine fra un gusto lirico e fiabesco (uccellini) e uno grottesco e provocatorio (uccellacci), è palese la simbologia propria del pensiero marxista, che divide il mondo in oppressori ed oppressi. Ma tale ideologia pare ormai soltanto un discorso moralistico, incapace di far presa sulle coscienze dei proletari. Tutto il pessimismo disfattista di Pasolini, tipico di questa fase del suo cinema, si rivela prepotentemente nell’abisso che separa l’astrattezza ideologica, inutilmente esortativa ed ammonitiva del corvo, rappresentazione allegorica dell’intellettuale comunista e borghese e dello stesso Pasolini, e la concretezza fisiologica degli impulsi del corpo dei due vagabondi, alias proletari e sottoproletari.
La scelta dei personaggi non è casuale: Totò è un personaggio molto umano, bonario e napoletano, facilmente comprensibile, peculiarità che il regista ricerca nel soggetto protagonista; in lui infatti ritrova un uomo così semplice, così normale,tale anche da avere qualcosa di anomalo, di surreale, di pagliaccesco. La mimica e gli abiti del personaggio riprendono le caratteristiche tipiche di Charlot(Charlie Chaplin). Ninetto proviene dai pischelli della narrativa Pasoliniana, innocenti e mordaci, allegri e insieme tristi della propria vitalità, di quelli che stanno al mondo senza mai domandarsi verso cosa la loro vita li porti. La pellicola riflette lo stato d’animo profondamente malinconico del regista, e l’ideologia sottostante al film stesso. Il tema trattato è difficile,poiché è strettamente collegato con la crisi dei partiti marxisti, la crisi delle resistenze degli anni postbellici, con la morte di Togliatti, inserita all’interno del film, che allude alla fine delle illusioni di una rivoluzione concreta. Fine vissuta da Pasolini nelle propria interiorità, da intellettuale impegnato, da marxista che, tuttavia, non vuol credere che il marxismo sia finito; il buon corvo infatti dice: “io non piango sulla fine delle mie idee,perché verrà di sicuro qualcun altro a prendere in mano la mia bandiera per portarla avanti ! É su me stesso che piango”.
Di “uccellacci e uccellini” si capiranno si e no due battute, o almeno si potranno trovare attinenti al senso comune della realtà, perché tutto il resto e pervaso da veri e propri paradossi e da bizzarre allegorie, messe in scena al limite della follia. Ma tutto ciò è il mezzo attraverso il quale Pasolini tenta di raccontarci la visione funebre alla quale avremmo potuto assistere in quegli anni di caos, filtrata dai suoi occhi ed il suo pensiero,
“Uccellacci ed uccelini”, piuttosto che una commedia nera dell’ epoca, è un indispensabile analisi critica sui comportamenti etici dell’uomo e sulla loro fragilità; è un gioiello di narrazione e di inventiva; è la metafora di un mondo diverso fatto di utopia, passione e ideologia; è lotta ostinata contro il colonialismo culturale ed il consumismo edonistico nel loro rapporto attuale.
Dunque il discorso su “Uccellacci e uccellini” riporta certamente ad un discorso più generale riguardante il declino della società occidentale nella quale l’autore vede solo zone grigie, sfuggenti. In essa ripone la sua completa sfiducia, ciò costituirà sempre il nucleo centrale della logica pasoliniana.